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VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO
febbraio 20, 2021, 4:30 PM
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“Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14) segue immediatamente, nel Sermone della Montagna, l’altra affermazione “Voi siete il sale della terra” riferita da Gesù ai suoi discepoli. Siamo sale e siamo luce. Attenzione. Non si tratta di un’esortazione, del tipo “Voi dovete essere sale, voi dovete essere luce…”, oppure di una speranza, tipo “diventerete sale, diventerete luce…”. No. Gesù ci dice che siamo già sale e siamo già luce, come dato di fatto. Ora. In ogni giorno della nostra vita cristiana, siamo già sale e luce. Per il solo fatto di aver ascoltato l’annuncio dell’uomo nuovo racchiuso nel Sermone della Montagna, che poi è il compimento perfetto dei dieci comandamenti. Perché il Sermone della Montagna è perfettamente compiuto in Gesù Cristo e, per la Sua grazia, deve compiersi in ciascuno di noi, che siamo pur sempre luce, seppure con una intensità che nella vita dovrebbe diventare crescente.

La creazione della luce precede la creazione della vita. “Dio disse: sia la luce! E la luce fu” (Gen 1,3). Non a caso il big-bang, che gli scienziati additano come inizio dell’universo, è una manifestazione di energia vitale che si manifesta come un immenso lampo di luce. La luce divina, come manifestazione della potenza creatrice di Dio, chiama all’esistenza tutte le cose. La luce divina permette di vedere la Verità delle cose create e, nello spirito, la stessa Verità di Dio. A seguito però del peccato originale, nella sua libertà, l’uomo ha scelto le tenebre e, indebolito nella sua capacità di discernimento, non riesce più distinguere questa verità, a vedere il bene e il male.

Dio però ha parlato, e ha lasciato agli uomini di ogni tempo la Sua Parola come lampada per i nostri passi (cfr. Sal 118). E ha incarnato la sua Parola in Gesù per operare una seconda creazione, un uomo nuovo, un nuovo Adamo. E ancora oggi il Cristo manda i suoi discepoli, gli evangelizzatori, i cristiani, per far risplendere in noi, come in uno specchio, la luce divina sui cuori oscurati dalle tenebre della morte. Consapevoli che questa lotta non è contro creature di carne e di sangue, ma contro gli spiriti del male che abitano questo mondo di tenebra, e che va combattuta rivestiti dell’armatura di Dio, indossando le armi della luce (cfr. Ef 6,12).

Mentre l’immagine del sale viene chiusa con un’ammonizione a non perdere il sapore per non finire calpestati, quella della luce viene completata da due similitudini che consentono a chiunque di comprendere l’ineludibilità di questa condizione propria del cristiano, di questo essere luce. “Non può rimanere nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa (Mt 5, 15).

Qual è la città collocata sopra il monte? Certamente i discepoli che ascoltavano il sermone della montagna sapevano bene che questa città è Gerusalemme, posta in alto con la rocca di Sion per attrarre tutti i popoli all’incontro con Dio. Israele sa bene che la sua elezione è in funzione dei popoli, luce per le nazioni. E noi sappiamo che Gerusalemme è una immagine della Chiesa[1]. E’ una immagine quindi dei battezzati e di ogni comunità cristiana. Dove si insedia una comunità cristiana questa, automaticamente, costituisce un fatto con cui tutta la società prima o poi si deve confrontare. La candela ricevuta nel giorno del Battesimo, la candela della Fede, sarà posta da ogni discepolo sul Golgota, sulla croce di Gesù Cristo, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani. Di fronte a questa luce, quella dell’uomo che non resiste al male ma che porta su di sé i peccati degli altri, in modo misterioso Dio chiama alla conversione gli uomini di ogni tempo. Di fronte a un apparente sconfitto, infatti, il centurione esclamò: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15, 39). Di fronte a San Giovanni Paolo II che non riusciva più nemmeno a parlare, il mondo chinò il capo riconoscendo che quell’uomo rendeva testimonianza alla Verità…

Guardiamo ora a una casa ebraica del I secolo: la lucerna, quando fa sera, veniva accesa in alto, perché potesse illuminare tutta la stanza. Sarebbe assurdo, quindi nasconderla sotto il moggio, cioè sotto un secchio. Perderebbe la sua stessa ragione di essere.  Bene. Il dono di essere luce, allora, non lo possiamo nascondere. Anzi, dovremmo essere coscienti che prima o poi saremo messi sul lucerniere! E’ quindi completamente assurdo quanto oggi continuamente ci viene proposto dai media, la visione di una religione resa privata, rinchiusa tra le mura domestiche, che già da tempo si esprime visibilmente nella nostra società attraverso la rimozione dei simboli e la persecuzione quanto meno mediatica se non anche fisica. Un cristiano, se veramente è un cristiano, se ha fatto esperienza di Gesù Cristo, non può tenersi dentro la Buona Notizia, ma la annunzia, la grida dai tetti! Come il lebbroso guarito che, nonostante Gesù gli dica di non dire a nessuno che lo ha guarito, se ne va in giro a proclamarlo ai quattro venti. Non si tratta di proselitismo, parola che spesso viene impropriamente associata all’evangelizzazione, ma, appunto, di evangelizzazione! Quella che è un nostro dovere di discepoli: “Guai a me se non annunziassi il Vangelo”, come dice San Paolo (1Cor 9,16). L’evangelizzazione dei fatti, della comunione fraterna che brilla nel quartiere per mezzo della tua comunità cristiana, pur nella debolezza e nelle cadute che ognuno di noi ogni giorno sopporta, e propone con mansuetudine al mondo che esiste un altro modo di vivere, nell’amore e dall’unità. E’ di fronte a questo amore, a questa unità, che i pagani del nostro tempo, pieni di nostalgia, torneranno a Dio esclamando: “Guardate come si amano!”. “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché essi vedano le vostre opere buone e rendano gloria il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16)


[1] Anche la Vergine Maria è immagine della Chiesa. E anche lei, su un monte, a Medjugorje, sta facendo luce a tutte le nazioni in questi tempi decisivi per la salvezza dell’umanità.



DI RITORNO DA MEDJUGORJE
Maggio 16, 2015, 12:43 PM
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152.medjugorjeEra da tempo che sentivo di doverci andare, ma ero sempre preso dal lavoro, dal contingente, dal pensiero dei costi… Poi arriva mia moglie, un giorno, e mi dice che ha fatto tutto lei. Ha già prenotato. Andiamo in tre, tutta la famiglia. Capisco subito che ora è il momento.

“Ti portiam le nostre pene con le gioie e le speranze”, Maria! Ti ringrazio dal profondo del cuore per avermi accolto nel tuo cuore di Madre. Tre giorni di preghiera, di pace, continuamente rotti da momenti di emozione e di pianto. Non capisco cosa vuole dirmi il Signore con questo, ma lo prendo come un dono. Chi vivrà vedrà: la vita è un mistero.

Già il primo giorno, al mattino presto, nel recitare il Rosario con la veggente Vicka, a tratti mi si incrina la voce. Poi un’ora di preghiera silenziosa, profonda. Le difficoltà che la mia debolezza palesa di solito dopo 10 minuti qui a casa, là si iniziano a manifestare dopo 45 minuti. Ma subito vedo la potenza della preghiera e mi convinco di far parte di un’armata invincibile: i diavoli e gli spiriti immondi iniziano a venir fuori, gridando, dalle persone possedute. Se di solito preghiamo col fioretto, capisco che qui si prega con gli obici e con gli armamenti pesanti.

Le salite alla collina della apparizioni, il Pordbro, con il Rosario, e al monte della croce, il Krizevak, con la Via Crucis, sono metafore meravigliose della vita. Sali e devi guardare bene, ad ogni passo, dove mettere il piede. A sinistra o a destra? Il bene o il male? Poi inizi a vedere la meta e, alla fine, raggiungi la cima. Porto con me una foto di mio padre. Ho sempre desiderato di portarlo lì. Ora l’ho caricato idealmente sulle mie spalle e depongo l’immaginetta lassù ai piedi della croce, con una pietra sopra. Signore, fa che possiamo, un giorno, riabbracciarci nel Cielo!

Poi le Messe: da soli con Padre Lorenzo in una piccola cappella; nella parrocchia di San Giacomo, in italiano; nel grande spazio retrostante, in croato. Cristo che passa in mezzo a noi, la Chiesa universale visibile, tangibile nella meraviglia della diversità delle lingue. E i canti, dalla voce celestiale di suorine dal volto luminoso, sono un anticipo di Paradiso, con il latino che consente spesso l’unisono anche ad una multiforme assemblea. E un anticipo di Paradiso è sicuramente anche l’adorazione serale. Migliaia di persone in ginocchio con lo sguardo rivolto al Cristo, silenzio indescrivibile, rotto solo dal vento che scuote le cime degli alberi.

Nell’ultimo giorno ho solo il tempo di raccogliere su dei fazzoletti le lacrime che essudano dal ginocchio del Cristo bronzeo. Le donerò agli ammalati che si sono affidati alle mie preghiere. E quando, sotto il sole di mezzogiorno, andiamo via, mi viene il magone. Non mi va di lasciare quello che è stato un meraviglioso riposo nello spirito.

Così, per completezza, solo alla fine ricordo di aver visto anche il sole che si sdoppia e, a tratti, assume la forma quasi di una croce. Viene spesso ricordato come uno dei segni di Medjugorje. Ma è solo l’ultimo, trascurabile aspetto. Non è per questo che io credo. C’è molto, molto di più che un segno nel cielo a Medjugorje. E per scoprirlo devi andarci.